Lettera di Natale 2024

“Il Dio del Signore nostro Gesù Cristo … illumini gli occhi del vostro cuore affinché conosciate qual è la speranza cui vi ha chiamati” (Ef 1,17-18)

 

I giorni di Natale di quest’anno saranno resi particolari dall’apertura della Porta santa in san Pietro da parte di papa Francesco. Con questo segno verrà inaugurato il Giubileo “della speranza”. Ne sentiremo parlare spesso e, il rischio, sarà di svuotare questa parola della sua forza provocante, confondendola con un vago appello all’ottimismo che non può convincere realmente nessuno. La speranza cristiana non consiste, per partito preso, in una propensione alla positività. In questa direzione si muovono tanti dei manuali sul “pensare positivo” dei quali si riempiono gli espositori nelle librerie, magari proprio nella sezione “religione”.

 

Sperare è invece una “responsabilità” a cui non possiamo sottrarci né come esseri umani né come credenti. Se anche in questo tempo pieno di tristezze e angosce la vita prosegue, è perché qualcuno riesce a coltivare e difendere “speranze credibili”, è perché qualcuno testardamente prova a coltivare il “piccolo bene possibile”. Simbolo di questa cura del piccolo è il Presepe, che spero presente in tutte le nostre case come segno di potente resistenza alla tristezza e al male. In questi giorni, davanti al presepe invochiamo il dono della speranza necessaria per continuare a prenderci cura della vita “per quel che è” e non solo quando risponde alle nostre attese.

 

Spero che anche il Giubileo non sia solo occasione per i servizi di Report o delle Iene quando denunciano ruberie e sprechi. E non sia neppure solo una grande kermesse fatta di eventi e spettacoli ma riesca ad annunciare la buona notizia raccontata dall’apertura delle Porte sante. Il “gioco simbolico” della loro apertura straordinaria segnala una possibilità non scontata, una grazia! Quella porta non è segno di altro se non di Gesù (Gv 10,7.9) attraverso cui si apre all’umanità intera la non scontata possibilità di “entrare e uscire e avere la vita in abbondanza”.

 

Quella Porta apre un varco che ci permette anche di poter entrare e rientrare nella Chiesa, non tanto come luogo “sacro”. Nel cristianesimo non esiste uno spazio profano dove “Dio non c’è” e uno dove invece risiede la sua grazia. Quella Porta apre un varco per entrare dove il Signore continua a raccogliere una comunità che testimoni, anche con tutte le sue cicatrici e fatiche, la possibilità di essere perdonati, riconciliati; la possibilità di essere accompagnati a riconoscere che “Gesù è Signore”; la possibilità di riconoscere i segni di quella fraternità umana senza la quale non sarà possibile l’edificazione della pace.

 

Non si tratta certo di un evento giubilare ma la ricorrenza del 55° della consacrazione della nostra chiesa ci offrirà quest’anno l’occasione di gustare che, pur con tutta la sua umiltà e le sue pecche, essa è spazio capace di raccontare e di accogliere i nostri cammini. Sulla nostra chiesa mi permetto di riproporre alcune riflessioni che avevamo condiviso preparando il ricordo del suo 50° che però gli eventi del 2020 ci hanno obbligato a rimandare:

 

La prima sensazione che si ha entrando nella nostra chiesa è che “c’è posto per tutti”! La sua ampiezza racconta di uno spazio che smarca da tutte le tentazioni di pensarla come un luogo per pochi eletti o per pochi giusti. È stata costruita da una comunità che riteneva importante rendere la sua chiesa capace di ospitare i cambiamenti di un paese vivo, che si stava allargando. Le sue porte sempre aperte raccontano di una soglia bassa: non servono credenziali particolari per poterci entrare.

 

Certo ciò non significa che voglia consegnarsi come uno spazio neutro, dove possa capitare tutto e il contrario di tutto. Non è la galleria dell’Oriocenter o una piazza del paese. Ci accoglie uno spazio organizzato, illuminato da una luce che cade dall’alto. Quando entri in chiesa non sei investito da una luce “da vetrina” che toglie ogni mistero. Non sei neppure messo sotto i riflettori di un palcoscenico o … di un tavolo operatorio. Quando entri in chiesa ti abbraccia una penombra che renda possibile sentirti a tuo agio, che ti permetta di fermarti a riprendere fiato e a respirare il mistero dal quale è abbracciata la nostra vita. E quando gli occhi si alzano, sopraelevato di qualche gradino, si fa notare l’altare. È lui a connotare questa sala. La tovaglia stesa racconta del desiderio che qui si possa raccogliere una famiglia in festa nella condivisione di Pane e Parole.

 

La seconda sensazione viene da ciò che non è possibile non notare! Una grande figura, a grandi passi, rossa del colore della passione, sfonda la parete dietro l’altare e ti corre incontro. Le sue braccia sono quelle dell’innamorato che aspetta di stringere a sé l’amata. È lo Sposo atteso dall’umanità che, rivestita del bianco dell’abito nuziale, lo sta contemplando a sua volta a braccia aperte. Aperte come quando prega. Aperte perché decisa a lasciarsi abbracciare. Aperte come quando riesce a vincere la tentazione di temerlo e di volerlo evitare, come sta capitando alla figura che resta rannicchiata nell’ombra.

 

“Colui che viene” è l’Uomo dalle mani segnate dai chiodi della Croce che ha aperto questo meraviglioso cielo blu attraversato dall’arcobaleno, segno prezioso dell’alleanza promessa. “Colui che viene” è accompagnato dal suono squillante della tromba suonata da una angelo dai capelli d’oro che annuncia la festa dell’avverarsi del sogno di Dio. Sogno inaugurato nel giardino della creazione. Giardino che finalmente fiorisce in tutta la sua bellezza ospitando la Pasqua di questo abbraccio capace di abbattere anche quel muro di cemento armato che è la morte.

 

Non capita spesso nelle chiese di trovare un’immagine così forte. Siamo più abituati a veder rappresentata la gloria di un santo o uno dei momenti della storia di Maria. Qui invece un’immagine ci invita a riconoscere che chi è rappresentato “sono proprio io” con la mia umanità. Se ci pensi gli occhi vedono ciò che capita quando celebriamo la messa: mentre facciamo memoria della sua morte e risurrezione, il Signore vuole aprire le nostre storie alla “attesa della sua venuta”. È di questo futuro che è diventato povero il nostro mondo. È quel futuro che accolto, ci autorizza a vivere in modo diverso tutto ciò che ci sta capitando. È quel futuro che sa offrire al nostro oggi la sua giusta misura. È quel futuro che non ha nulla a che fare con il fato, il karma o la fortuna perché si realizza in un incontro, in un abbraccio.

 

Vi consegno queste parole non solo per la simpatia che la nostra chiesa mi ispira ma per la gioia di vedere come lo Spirito del Signore stia tessendo storie di vangelo proprio anche qui tra noi. Mentre, come al solito, ciò che sentiamo maggiormente urlate sono le preoccupazioni e le paure, mi è data la grazia di vedere donne e uomini che, resistendo al cinismo, provano a custodire con tenacia e coraggio la fiducia che l’inaudito possa accadere e sconvolgere le nostre previsioni, anche quelle più oculate … come quando riconosciamo in un bambino in fasce la presenza della potenza di un Dio che ci salva!

 

Mi unisco a don Simone e don Andrea nel porgere a tutti gli auguri di un tempo di pace e di speranza. Buon cammino!

don Alberto

 

PS. Come sempre la comunità chiede a tutti il dono della condivisione di ciò che ognuno può e desidera donare. Come al solito le buste potranno essere consegnate direttamente in chiesa o in casa parrocchiale. Per chi preferisce la forma del bonifico, questi i riferimenti del conto intestato a:

Parrocchia della Conversione di san Paolo.
IBAN: IT94 O 030 6952 5751 0000 0000 727 presso Banca Intesa San Paolo.