La nostra Pasqua: introduzione al Triduo pasquale

Quest’anno non potremo andare in chiesa per celebrare la Pasqua del Signore, ma potremo comunque vivere nella preghiera questo tempo così particolare e centrale per la nostra fede riscoprendo la nostra casa come “piccola Chiesa”.

Siamo al cuore di tutto l’anno liturgico, qui si riassume e si rivive ciò che il Signore ha fatto per noi.

In questi sette giorni la Chiesa e ognuno di noi, come nelle prime mattine del mondo, può lasciarsi ricreare dal suo Signore e può attingere da Lui forze nuove per affrontare il male e la morte.

Davanti agli ultimi giorni della vita di Gesù, davanti al mistero della Pasqua, dove vita e morte si intrecciano e si affrontano, capita di sentirsi piccoli. Anche davanti all’abbondanza dei testi biblici e alla ricchezza dei segni nelle celebrazioni solitamente ci troviamo un poco smarriti e sentiamo di rimanere soltanto sulla soglia di un mistero grande, che ci supera da ogni parte.

 

Per aiutarci a cogliere più a fondo la bellezza che celebreremo nella povertà dei segni proposti per la preghiera dei prossimi giorni nelle nostre case, vi consegniamo questo testo di Dom Matteo Ferrari, monaco camaldolese, che racconta l’unità, il senso e la ricchezza del Triduo Pasquale. Ci auguriamo che leggendolo possiate orientarvi ed entrare più profondamente nel mistero della nostra Speranza.

 

Introduzione

Il Triduo pasquale (venerdì – sabato – domenica), insieme alla celebrazione “in coena Domini” del Giovedì Santo, è il cuore di tutto l’anno liturgico. In particolare, c’è un rapporto inscindibile tra il Triduo e i tempi liturgici che lo precedono e lo seguono: la Quaresima e la Cinquantina pasquale. È dalla Pasqua infatti che questi due tempi liturgici nascono come da una “sorgente” e alla Pasqua essi conducono, come al culmine della vita cristiana.

Il Triduo pasquale, secondo quanto afferma il Commento alla riforma dell’anno liturgico (cfr. EV S1 265), non è il tempo di “preparazione” immediata alla Pasqua («non costituisce una preparazione alla solennità di Pasqua»), ma è celebrazione della Pasqua. Citando Sant’Agostino, il documento afferma che questi giorni sono veramente «il santissimo triduo del (Cristo) crocifisso, sepolto e risorto» (Ep 55,14).

 

Celebrare nell’unità il Triduo pasquale

Per entrare pienamente nel clima di questi “giorni santi” è necessario innanzitutto coglierli nella loro unità. Il Triduo santo lo si comprende solamente se lo si celebra “in unità”, senza separare tra loro venerdì, sabato, domenica. Purtroppo, spesso accade di sentire commenti a questo momento dell’anno liturgico che lo smembrano e lo rendono una serie di celebrazioni separate tra loro. Il Triduo invece è come un’unica grande celebrazione che va dalla messa “in coena Domini” del Giovedì santo alla Domenica “di risurrezione”. Dividere il Triduo è assurdo, come smembrare il “mistero pasquale” in tanti eventi separati: la passione dalla morte, la morte dalla risurrezione… La Pasqua di Cristo, come afferma il Commento, «consta della sua morte e risurrezione, cioè della novità di vita che scaturisce dalla morte redentrice». Come la passione-morte sono inscindibili dalla risurrezione, così il Venerdì santo è inscindibile dalla Domenica di pasqua. È la liturgia stessa che ci invita a questa lettura/celebrazione unitaria del Triduo santo.

 

“Ogni volta” (Il Giovedì santo)

Come abbiamo detto, la celebrazione del Giovedì santo (“in coena Domini”) costituisce l’inizio del Triduo pasquale. Infatti, nell’istituzione dell’Eucaristia e nel gesto della lavanda dei piedi viene profeticamente svelata e annunciata la morte e la risurrezione del Signore: «Ogni volta che mangiamo di questo pane e beviamo a questo calice noi annunciamo la morte del Signore finché egli venga». Ogni passaggio del Triduo riceve luce dalla cena del Signore: questa è la funzione che hanno i racconti della cena nei Vangeli ed è anche la funzione che ha la celebrazione “in coena Domini” rispetto al Triduo.

Accogliere il volto del Maestro e Signore che depone le sue vesti e lava i piedi ai suoi discepoli è il passo necessario che la Chiesa deve compiere per “aver parte con lui” – come dice Gesù a Pietro: «Se non ti laverò, non avrai parte con me» (Gv 13,8) e per poter celebrare in verità il Triduo. Pasqua è entrare nel suo mistero: «Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi» (Gv 13,15).

 

“Popolo mio” (Il Venerdì santo)

Al centro del Venerdì santo sta la celebrazione della passione del Signore con la lettura del racconto della passione secondo l’evangelista Giovanni. Fondamentalmente si tratta di una celebrazione della Parola che tende per sua natura al compimento nella celebrazione dell’Eucaristia della Veglia pasquale. Questa attesa, come dicevamo, è ben significata dal profondo e suggestivo silenzio nel quale l’assemblea si scioglie. La passione secondo Giovanni presenta la morte di Gesù in croce come l’intronizzazione del re. Lì si rivela la gloria del Figlio di Dio. Nel prefazio I della passione del Signore si prega: «nella passione redentrice del tuo Figlio tu rinnovi l’universo e doni all’uomo il vero senso della tua gloria; nella potenza misteriosa della croce tu giudichi il mondo e fai risplendere il potere regale di Cristo crocifisso» (Messale Romano, p. 325).

In questa prospettiva gloriosa, la croce viene adorata come “trono della grazia”. La seconda lettura, tratta dalla Lettera agli Ebrei, esorta: «Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ricevere misericordia e trovare grazia ed essere aiutati al momento opportuno» (Eb 4,16).

Anche in questo caso non si tratta di uno sterile ricordo, ma, celebrando la passione del Signore, la Chiesa interpreta la sua vita nella medesima prospettiva. Oggi infatti la passione del Signore continua nel suo corpo, perché con lui sepolti possiamo risorgere insieme a lui. Di fronte alla croce la Chiesa comprende la sua vita alla luce di Colui che ha tanto amato il mondo da dare il suo unigenito Figlio.

 

“Oggi sulla terra c’è grande silenzio” (Il Sabato santo)

Il Sabato santo è celebrato nel silenzio e nell’attesa. In questo giorno non c’è nessuna celebrazione liturgica se non la liturgia delle ore. C’è un grande “simbolo” che segna questa giornata del Triduo che termine con l’inizio della Veglia e quindi della Domenica di Risurrezione: il silenzio. Spesso davanti al silenzio rimaniamo come smarriti e possiamo correre il rischio di cercare qualche soluzione che possa riempire ciò che noi consideriamo “vuoto”. Ma la Chiesa in questo giorno è chiamata a porsi in ascolto del “magistero del silenzio”. Un silenzio profondo e denso che bene viene espresso nell’apertura della lettura patristica dell’ufficio delle letture di questo giorno: «Che cosa è avvenuto? Oggi sulla terra c’è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme: la terra è rimasta sbigottita e tace perché il Dio fatto carne si è addormentato e ha svegliato coloro che da secoli dormivano. Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi. Certo egli va a cercare il primo padre, come la pecorella smarrita» (Omelia sul Sabato santo).

Il tratto del mistero pasquale che in questo giorno si celebra, cioè la discesa agli inferi (1Pt 3,18-19; 4,6), è già legato alla risurrezione di Gesù. Nella Chiesa d’Oriente proprio la discesa agli inferi è il soggetto raffigurato nelle icone della risurrezione. In questo evento vediamo “la lettura teologica” dell’intero mistero pasquale: Dio, come il buon pastore, nel Figlio va in cerca dell’uomo smarrito fino a raggiungerlo nel luogo estremo della sua lontananza da lui, la morte. In un inno Efrem scrive: «Colui che disse ad Adamo: “Dove sei?” si è volontariamente rivestito di un corpo di carne; è salito sulla croce perché l’ha voluto, per cercare colui che era perduto; è sceso agli inferi dietro a lui e l’ha trovato. L’ha trovato e gli ha detto: “Vieni dunque, o mia immagine e mia somiglianza. Ecco io sono sceso dietro a te per ricondurti alla tua eredità» (cit. in: S. CHIALÀ, “Discese agli inferi”).

 

“O notte veramente gloriosa” (La Veglia pasquale)

Nella Veglia pasquale la Chiesa celebra “ogni evento di salvezza” che Dio ha operato nella storia a favore del suo popolo Israele e dell’intera umanità (cfr. il famoso Poema delle quattro notti nel Targum a Es 12). Non si tratta di attendere la risurrezione di Cristo, che è un fatto storico avvenuto nella storia una volta per tutte, ma di vegliare in questa notte nella quale «i fedeli, portando in mano – secondo l’ammonizione del Vangelo (Lc 12,35ss.) – la lampada accesa, assomigliano a coloro che attendono il Signore al suo ritorno, in modo che quando egli verrà, li trovi ancora vigilanti e li faccia sedere alla sua destra» (Messale Romano, p. 161).

Nella Veglia pasquale è centrale la celebrazione dei sacramenti dell’iniziazione cristiana che sono rinnovamento e inizio di vita per i catecumeni, ma anche per la Chiesa intera segno della sua continua conversione a Dio nell’attesa dello sposo che ritornerà alla fine dei tempi. La vita nuova del Risorto diventa sempre nuovamente vita della Chiesa.

Per comprendere ciò che si celebra nella Veglia pasquale non è fuori luogo far riferimento ad un noto passaggio della Haggadàh di Pésach della Pasqua ebraica nel quale si afferma: «in ogni generazione deve l’uomo considerarsi proprio lui uscito dall’Egitto… in quanto non i nostri padri liberò soltanto il Santo Benedetto Egli sia, ma anche noi liberò con loro». La celebrazione della Veglia, e in generale del Triduo di cui essa costituisce il centro, è per la Chiesa questa esperienza di liberazione e di redenzione: comunione con le opere che Dio ha compiuto nella storia per la sua salvezza e anticipazione del futuro, quando l’umanità entrerà nel riposo di Dio, nel suo Regno.

 

“Egli è la nostra Pasqua” (1Cor 5,7)

Solo pochi accenni sulla ricchezza di questi giorni centrali dell’anno liturgico, che ci possono aiutare ad entrare nel Triduo con uno sguardo diverso al quale la liturgia ci conduce. Entriamo in questi giorni portando nel cuore le parole di Paolo: «togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato!» (1Cor 5,7). La celebrazione di questi giorni è appunto la celebrazione della nostra Pasqua: il nostro rinnovamento personale ed ecclesiale che noi viviamo in comunione con Lui, che è la nostra Pasqua.

 

 Introduzione al Triduo pasquale

 

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