SERMIG

7 Agosto 2017, 7:30.

La sveglia suona incessantemente sul comodino ma non voglio saperne, la spengo e giro la testa dall’altra parte! Con la solita puntualità è la mamma a riportarmi nel mondo reale e ad esortarmi a fare in fretta. Ancora mezzo addormentato inciampo in un borsone ai piedi del letto, ora mi ricordo: mi sono svegliato così presto perché devo partire per andare al Sermig a Torino.

Come sempre sono il solito ritardatario e ad aspettarmi ci sono già tutti i miei compagni di avventure: in totale siamo 12 ragazzi e don Andrea. Carichiamo le valigie e, dopo gli ultimi saluti ai genitori, si parte.  Durante il viaggio, tra le solite cantatine, risate e pisolini, la mia testa si riempie di pensieri su quello che sarà questo campo: fede, studio, futuro, amicizie, etica, divertimento . . . chi lo sa!

Finalmente arriviamo al Sermig e subito veniamo accolti calorosamente da Maria Claudia, la ragazza che ci seguirà durante tutto il campo e che ci farà da tutor. Senza perdere un momento, dopo una breve presentazione e il tempo per riempire lo stomaco, facciamo un essenziale ma significativo “tour” dell’interno dell’arsenale e del quartiere in cui è collocato. Immediatamente mi rendo conto che la realtà di quest’ultimo non è la solita a cui siamo abituati: in questo quartiere, appena fuori dal centro città, emarginazione, intolleranza, povertà non sono solo parole, ma situazioni ben visibili.

Ci viene raccontato che un tempo il Sermig, Servizio Missionario Giovani, era un Arsenale di guerra, una fabbrica di armi. Dal 1983 il lavoro gratuito di migliaia di persone lo ha trasformato nell’Arsenale della Pace, una casa aperta 24 ore su 24 che accoglie persone in difficoltà che bussano alla porta. Fin da subito si intuisce che la voglia di fare e il volontariato possono davvero fare qualcosa di concreto per le persone.

Durante la nostra permanenza, ogni momento è scandito da un ritmo quasi militare. Nella mattinata le attività a cui siamo invitati a partecipare sono la preghiera, per iniziare con il piede giusto la giornata, le attività manuali come la preparazione del pranzo, lo smistamento dei vestiti donati all’Arsenale, la scuola di italiano, il lavoro della terra, il gioco con i bambini, le pulizie e tanto altro ancora… Ogni giorno ciascuno sceglieva a quale partecipare con lo scopo di lavorare per dare una mano alla comunità dell’Arsenale nei più svariati modi.

La cosa che più mi ha colpito di queste attività è stato il ritrovarsi a lavorare con persone conosciute al momento e nonostante questo riuscire magicamente a fare gruppo e a trovare la giusta intesa per portare a termine in modo rapido ed efficace il compito assegnato. Ognuno svolgeva la sua semplice mansione al meglio e apportava il suo prezioso contributo, per realizzare insieme qualcosa di più grande.

La vera rivelazione è stato il laboratorio di riflessione che si svolgeva nel pomeriggio: un palloncino messo su una sedia, delle domande semplici e chiare, delle testimonianze mi hanno portato a riflettere su svariati temi, molti dei quali normalmente non vengono affrontati o esaminati solo superficialmente ed in malo modo. Ognuno era chiamato a fare delle scelte, a esprimere la propria opinione e poi argomentarla di fronte ad altri ragazzi. Quelle semplici domande, pronunciate a volte anche a bassa voce, erano così forti da spingerti spalle al muro, non ci si poteva nascondere e nemmeno mettere delle maschere: ognuno timidamente o risolutamente faceva trasparire il proprio essere attraverso le proprie parole.

Le serate erano anche quelle pensate per essere provocatorie e dare da riflettere. La cosa che mi ha stupito molto è come due punti di vista colgano un gesto in due modi completamente opposti. Un esempio eclatante è stata la “Cena dei popoli”, dove è stata rappresentata la situazione odierna per quanto riguarda la distribuzione mondiale del cibo e della ricchezza. Tutti ci giustifichiamo quando sprechiamo cibo o acqua dicendo che tutto quello che abbiamo scartato non è recuperabile, è di troppo, non necessario e non utile a nessuno… Eppure quando ci siamo trovati a cenare con un misero cucchiaino di riso la prospettiva è cambiata: siamo rimasti letteralmente schifati da coloro che hanno gettato chili e chili di riso “avanzato” nella spazzatura e molti di noi, spinti dalla fame, sono andati a recuperare dal cestino tutto quel ben di Dio per chiudere la voragine allo stomaco causata da qualche ora di digiuno. Sullo stile di questa serata erano organizzate anche le successive: abbiamo trattato temi scottanti, spesso dimenticati e approfondito la conoscenza del Sermig, dei suoi volontari, dei progetti e delle attività.

Ripensando a tutte le attività che abbiamo fatto, abbiamo visto molti ragazzi, giovani con tanta voglia di fare, di mettersi in gioco, con un entusiasmo contagioso per provare a cambiare anche solo qualcosa, o a lavorare in primis un po’ su sé stessi. Ragazzi che avvicinano a te quel sogno su cui è nato il Sermig, perché quando mi hanno detto la prima volta “Il Sermig è nato con l’obiettivo di eliminare la fame nel mondo” ho pensato subito che il loro fosse un sogno irrealizzabile. Eppure posso assicurarvi che in questi giorni lo abbiamo toccato con mano. Vedendo quello che tanti ragazzi fanno, e soprattutto hanno fatto, ci si rende conto che quel sogno si può realizzare e quindi provi a metterci un po’ del tuo: un gesto, un segno, un sorriso, un po’ di tempo, di voglia… Sicuramente una persona da sola non può cambiare il mondo ma può coinvolgere conoscenti, amici, amici di amici. E da una goccia si può creare il mare, si può scolpire una roccia: basta crederci e volerlo per davvero.

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